Questo opuscolo, pur volutamente divulgativo, è destinato a un pubblico di medici di base, ma anche di diabetologi, allo scopo di illustrare alcune mie idee e proposte relative alla lotta al diabete.
Si dà quindi per scontata la conoscenza delle patologie di cui si parla e dei relativi farmaci.
Anche se faremo cenno al diabete in via del tutto generale, l’argomento di questo opuscolo è il diabete di tipo 2.
Mi chiamo Ferdinando Carotenuto e ho 74 anni; sono stato un medico di famiglia per tutta la mia vita professionale, fino alla pensione. A partire dal 2010 mi sono dedicato allo studio del diabete nelle sue diverse forme, dopo aver potuto constatare, nella mia pratica quotidiana di medico di base, che erano davvero tanti i pazienti affetti da diabete e scompensati, pur essendo regolarmente in cura presso diabetologi dei vari centri e pur essendo poi affidati alle cure e alle prescrizioni dei medici di base.
È noto che la Società Italiana di Diabetologia (SID) sul proprio sito rende disponibili a tutti, medici e non, le sue linee guida con il corredo di una nutrita serie di documenti scientificamente inoppugnabili, affidabili e soprattutto di utilizzo abbastanza pratico da parte soprattutto dei medici di famiglia che hanno in cura pazienti diabetici. Perché dunque percentuali così elevate di pazienti scompensati? Dov’era il problema? Cosa non funzionava nella terapia?
Per capire da dove nascesse il problema, ho cominciato intanto a studiare la fisiologia e la fisiopatologia dell’omeostasi glicemica, assieme all’azione farmacologica dei vari farmaci antidiabetici disponibili in commercio.
Dopo qualche anno di studio ho dunque comprovato che da un lato la malattia, di per sé molto diffusa, è ben conosciuta, è stata analizzata in tutte le sue sfaccettature e sono disponibili manuali che giudicherei più che esaustivi sullo stato delle conoscenze scientifiche specifiche. Dall’altro lato, per quanto riguarda la terapia, sono oramai disponibili molti farmaci piuttosto efficaci e credo che altri verranno messi in commercio in futuro, per cui alla fine direi che i medici dispongono di tutti gli strumenti utili ad affrontare la malattia.
Ma allora perché, a fronte di questo quadro scientifico e di pratica medica nel complesso confortante, i pazienti stentano a trovare una condizione stabile di normalità?
L’idea di fondo cui sono arrivato è che il problema, più che di tipo medico, in realtà è di tipo sanitario, cioè relativo alla organizzazione e alla razionalizzazione dell’azione terapeutica.
In primo luogo la complessità e la varietà di forme della patologia complicano enormemente il trattamento di tali pazienti, escludendo l’applicabilità aprioristica di protocolli standard validi per tutti. Ogni caso, cioè ogni paziente, va studiato e analizzato singolarmente, va individuata la forma patologica di cui soffre e, nell’ambito di questa, delle condizioni specifiche del paziente.
Ma lo studio medico attento di un singolo paziente richiederebbe tempi incompatibili con la normale attività e l’enorme carico dei diabetologi, cioè dell’elevato numero di pazienti che essi devono gestire. In questa modalità oggi vigente, al medico di base viene riservata solo la funzione di replicare la prescrizione del diabetologo, senza intervento specifico. E invece ogni paziente dovrebbe essere attentamente seguito per un certo tempo, proprio per controllare e verificare la sua risposta ai farmaci ed eventualmente modificare la ricetta, affinché torni il più rapidamente possibile a un livello di glicemia accettabile e stabile.
E invece, l’intervento è troppo lento e troppo diradato nel tempo per poter avere la giusta efficacia.
Tipicamente il procedimento terapeutico viene innescato dal medico di base che rileva valori di glicemia inaccettabili e quindi prescrive una visita specialistica presso un diabetologo o un centro specializzato per la diabetologia.
Il diabetologo, dato il suo carico di lavoro, nel migliore dei casi dedicherà meno di mezz’ora al paziente e, analizzando il suo caso, gli prescriverà dei farmaci, gli consiglierà una dieta piuttosto severa e lo rinvierà al medico di base, dandogli appuntamento a distanza di 3 mesi per una visita di controllo o per un eventuale cambio della terapia. In questi 3 mesi, il paziente viene affidato così al medico di base, il quale però si limita a replicare le prescrizioni del diabetologo, senza intervenire in alcun modo.
Del resto, nella maggior parte dei casi il medico di famiglia non può fare altrimenti, dato che solo i diabetologi possono prescrivere 3 farmaci “anti diabetici, mentre un medico di base ha facoltà di prescrivere solo un farmaco “antidiabetico con piano terapeutico” più qualche altro di tipo generico.
Il risultato è che il paziente per ben 3 mesi in pratica resta fuori controllo, a meno di iniziative sue personali o del medico di base, per richiedere p. es. una nuova visita specialistica. E invece, a mio parere, basterebbe controllare strettamente il paziente per alcuni giorni e utilizzando combinazioni di farmaci prescrivibili dal medico di base per riportarlo a livelli accettabili dei parametri glicemici.
Ho potuto notare nella mia prassi che nella cura del diabete non si tenevano presenti i meccanismi e soprattutto i tempi fisiopatologici dell’omeostasi glicemica, per cui era ovvio che in molti casi era difficile normalizzare la glicemia tramite l’applicazione pedissequa delle linee guida della SID.
Ho potuto constatare addirittura che a molti diabetologi sfuggiva la nozione del diabete autoimmune, per cui tutti i casi erano inquadrati come diabete tipo 2, anche se si trattava di soggetti magri, per i quali doveva sorgere il sospetto che fossero pazienti diabetici autoimmuni.
Ho potuto inoltre constatare che nei soggetti con diabete tipo 2 si ricorreva spesso alla terapia con le tre insuline rapide (per i 3 pasti quotidiani) e con l’insulina lenta, mentre invece spesso era possibile utilizzare la sola insulina lenta assieme alla Metformina e riuscire a normalizzare così la glicemia in breve tempo e in modo semplice con vantaggio sia per il medico che per il paziente.
A un certo punto ho intuito, in particolare, che la Metformina ha un’efficacia doppia: funziona da insulino-sensibilizzante, se tampona le cellule alfa per l’insulino-resistenza, mentre invece funge da analogo GLP1, se riesce a intervenire anche sulle cellule alfa fisiologiche per le quali in genere si ricorre all’analogo GLP1.
Di questi argomenti parlerò più estesamente in seguito, ma tale intuizione è di grande valore, dal momento che rende spesso semplice la normalizzazione della glicemia, e permette l’utilizzo di farmaci di costo ben inferiore a quello degli analoghi del GLP1.
Basterebbe “assistere”, cioè tenere sotto stretto controllo il paziente per un numero limitato di giorni cercando di individuare la modalità terapeutica più adatta a lui.
A mio parere, l’intervento farmacologico dovrebbe articolarsi, e in genere è articolato, in due fasi, dato che il diabete di tipo 2 conclamato presenta sempre due sintomi classici: l’insulino-resistenza, cioè l’insufficiente risposta del corpo allo stimolo insulinico e al contempo, paradossalmente, la ridotta produzione di insulina.
Nella prima fase va quindi bloccata l’insulino-resistenza e nella seconda occorre provvedere alla minore produzione di insulina. Quest’ultima spesso non è compensata dagli inibitori delle DPP4, per cui bisogna farlo con un farmaco analogo GLP1 o simili, quali la Metformina. Quest’ultima in combinazione con l’insulina lenta permette al paziente, tra le altre cose, di poter assumere una maggiore quantità di cibi e quindi di migliorare la sua qualità di vita.
Questo schema, che illustrerò in dettaglio in seguito e che cercherò poi di formalizzare in termini di semplici protocolli terapeutici, io lo utilizzo da anni con risultati che si vedono nel giro di soli pochi giorni.
Questo opuscolo, volutamente semplice, è indirizzato ai medici di base, perché io ritengo che, cambiando solo leggermente le regole sanitare applicabili, essi potrebbero ottenere gli stessi risultati che io ottengo ogni giorno con i pazienti che seguo. Ma ovviamente è mio dovere anche fornire qualche elemento di carattere medico-scientifico, sia per giustificare i protocolli terapeutici, sia ai fini di verifica da parte di medici specialistici, rispetto ai quali io sono convinto di non divergere molto nella sostanza dell’intervento medico, ma molto per la prassi sanitaria.
La seconda parte dell’opuscolo conterrà questi elementi più raffinati, destinati a tutti coloro che sono interessati all’argomento.
Elencheremo prima di tutto, a mo’ di richiamo, i tipi di diabete che si conoscono e i farmaci disponibili e nella seconda parte verranno fornite le indicazioni delle possibili modalità utilizzo dei vari farmaci antidiabetici di cui oggi disponiamo.
Poco invece dirò per quanto riguarda la dieta e gli stili di vita da adottare da parte dei pazienti e non aggiungerò nulla a quanto può essere suggerito dai medici di base e specialistici. Tali indicazioni direi che sono tutte talmente note e condivise che non richiedano aggiunte ulteriori.
In conclusione, ripeto, non prometto miracoli e non propongo cure o farmaci alternativi né diete innovative. Propongo solo una pratica terapeutica più prossima al paziente, più attenta all’individuo e più calibrata ai suoi tempi di possibile recupero e con dei cocktail di farmaci tutti disponibili in farmacia, oltre alle normali e ben note indicazioni dietetiche e di stile di vita. La mia esperienza mi dice che questo basta a migliorare la vita di tanti pazienti in tempi anche molto brevi.
Voglio infine ricordare il mio sito, www.diabeteeipertensione.it, che contiene ulteriori apporti e indicazioni e anche i miei riferimenti.
Chi avesse bisogno può consultarmi, del tutto gratuitamente, in qualsiasi giorno e ora lavorativi.