OMEOSTASI GLICEMICA

In condizioni fisiologiche i meccanismi preposti all’omeostasi glicemica,provvedono a mantenere anche l’omeostasi del peso del soggetto, per cui una qualsiasi causa che và a interferire su tali meccanismi porta come prima conseguenza l’aumento di peso che se protratto nel tempo e se significativo diventa la premessa per l’instaurarsi dell’insulino resistenza che a sua volta favorisce l’aumento di peso,proprio a causa dell’iperinsulinismo reattivo che diventa anche elemento determinante nell’instaurazione della maggior parte dei  casi di ipertensione arteriosa essenziale che invece sono da ricondurre all’iperinsulinismo,dato l’effetto simil aldosteronico

dell’insulina.

Col trascorrere del tempo e col persistere dell’aumento di peso e dell’insulinoresistenza si viene a creare,ma solo dopo anni,un esaurimento del patrimonio betacellulare del pancreas che porta all’iperglicemia per l’incapacità di far fronte all’insulinoresistenza con una maggiore produzione di insulina che invece nel corso degli anni aveva assicurato la normo glicemia.L’iperinsulinismo secondario all’insulinoresistenza non è incretino mediato per cui viene a mancare quello stimolo trofico che evita l’apoptosi delle betacellule, così come viene a mancare la maggiore inibizione delle cellule alfa,produttrici di glucagone.

Tutto quanto appena detto è dovuto alla minore produzione dell’incretina del tratto distale del tenue che attraverso la GLP1 và a determinare un’azione insulinosensibilizzante, dal momento che bloccando la produzione di glucagone,ormone controinsulare,consente di mantenere la glicemia con una minore quantità di insulina,oltre al fatto che interviene sul peso attraverso l’inibizione del centro della fame,oltre ad andare a determinare un maggiore consumo di grassi per il tramite dell’adiponectina.

La minore produzione di GLP1 è dovuta semplicemente al fatto che l’alimentazione moderna,priva di fibre, non consente al cibo introdotto di arrivare in grande quantità là dove sono le cellule elle,nel tratto distale del tenue e nella prima parte del colon,per stimolarle alla produzione della più potente incretina del sistema per la sua azione insulinosensibilizzante, appena citata, che così và  creare le premesse per quell’insulinoresistenza che obbliga le betacellule a una risposta non però incretino mediata.

A questo punto però si apre un  altro grande capitolo che è quello della conoscenza degli intimi meccanismi dell’omeostasi glicemica. non si  può assolutamente ignorare il ciclo di Krebs che entra in gioco come elemento determinante per la comprensione dei suddetti meccanismi fisiologici, così come di quelli  che vanno a minarne le basi omeostatiche.

Si apre  pure un altro  capitolo sull’insulino resistenza,senza il quale non è assolutamente possibile capire la fisiopatologia del diabete tipo2

Nella discussione  sull’omeostasi glicemica diventa un argomento principe  lo studio della fisiologia delle incretine, che  diventano così   la chiave di volta in grado di  spiegare così  sia l’aumento di peso, sia l’insulinoresistenza e sia,per finire, il diabete tipo2.

Come si vede gli argomenti sul tappeto sono molti e tutti da approfondire, cosa che mi riprometto di fare a breve,pubblicando adesso già questa bozza in modo da dare ai colleghi interessati all’argomento un’idea di quanto si vuole dimostrare e cioè che i disturbi dell’omeostasi glicemica che sono alla base sia dell’aumento di peso che della maggior parte dei casi di ipertensione arteriosa detta essenziale e dei casi di  steatosi epatica non alcolica. sono inquadrabili e anche reversibili, per cui tutti i pazienti con tali patologie come l’ aumento di peso, (così diffuso adesso già in età pediatrica),la  steatosi epatica, l’insulinoresistenza, l’ipertensione e il diabete tipo2,possono guarire sulla base del ripristino della normosensibilità all’insulina che si ottiene  andando a  ripristinare la normale fisiologia del sistema omeostatico glicemico.

Tale articolo sarà completato nei prossimi giorni e sarà così finalmente  chiaro quanto esposto in premessa,fornendo così  una visione unitaria di tante patologie che vengono trattate singolarmente,proprio perchè si ignorano le interconnesioni.

Nella regolazione dell’omeostasi  glicemica e del peso entrano in gioco diverse sostanze come la  grelina,le incretine GIP e GLP1,la leptina e l’adiponectina,queste ultime due prodotte dal tessuto adiposo,mentre le altre dall’apparato digerente,(la grelina dallo stomaco e le incretine dall’intestino).

Incominciamo dalla grelina per capire qualcosa in più di quanto detto finora.

La grelina viene secreta dallo stomaco quando è vuoto, mentre la sua produzione viene inibita all’entrata del cibo e per il tempo che ci resta.La grelina agisce stimolando il centro della fame,per cui l’entrata del cibo nello stomaco và a fermare quest’azione,nel senso che viene meno l’effetto stimolante.Sulla base di queste considerazioni i farmacologi hanno pensato di preparare un vaccino che stimoli la formazione di anticorpi contro la grelina con l’intento di bloccare tale sostanza.L’inconveniente è però che in questo modo si viene a creare un soggetto con anoressia farmacologicamente indotta e quindi tale scelta è stata subito abbandonata.

Alla luce delle cose dette prima possiamo pensare come utilizzare al meglio la funzione della grelina.Il modo più semplice è quello perciò di preferire dei cibi che abbandonano lo stomaco in un tempo maggiore in modo da ritardare la ripresa della produzione di grelina.

ritardano lo svuotamento dello stomaco le proteine, i grassi e le fibre solubili contenute negli alimenti per cui si capisce subito che qualsiasi manipolazione  determini un’alterazione del cibo ne va a minare le caratteristiche di interferenza col sistema omeostatico.

in questo modo un alimento come il latte, privo di grassi, abbandonerà lo stomaco molto tempo prima,facendo così scattare prima la produzione di grelina;lo stesso avviene se attraverso la raffinazione degli alimenti eliminiamo le fibre.si capisce perciò che qualsiasi cambiamento viene apportato al cibo integrale originale và a disturbare il sistema omeostatico con le relative ripercussioni che nel caso della grelina si traducono in un aumento della stimolazione del centro della fame,per cui lo stesso alimento,a parità di calorie,ma modificato nella sua struttura,determina risposte diverse che si ripercuotono sensibilmente sul peso.

L’articolo sarà completato a breve

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DIVERSIONE BILIO-PANCREATICA E DIABETE TIPO 2

Tale articolo è stato scritto dal dott. Ferdinando Carotenuto, medico di Medicina Generale a Boscoreale–Napoli 3382692965–08119253213

L’intervento di diversione bilio-pancreatica,così come altri interventi di chirurgia bariatrica,viene utilizzato per la riduzione marcata di peso nei soggetti grandi obesi.

A differenza  però degli altri tipi di interventi, quello di diversione bilio-pancreatica  determina la scomparsa del  diabete tipo2 nel 100 % dei pazienti. Tutto questo  avviene nel giro di soli  due mesi  quando il paziente è ancora obeso, anche se  ovviamente con un peso inferiore  rispetto al valore iniziale.

Non accade  invece la stessa cosa con gli altri interventi di chirurgia bariatrica (nel senso che la guarigione si realizza in una percentuale più bassa, anche se comunque significativa, intorno al 70-80%) né accade nei pazienti in trattamento farmacologico che invece  restano  diabetici a vita anche se in buon compenso metabolico. e con progressione dell’esaurimento delle cellule beta,per cui a un certo punto è necessario la somministrazione di insulina sottocute.

Pensare perciò di sottoporre i soggetti con diabete tipo2 a intervento di diversione bilio-pancreatica non è semplice perchè se tale intervento è facilmente comprensibile per un grande obeso, lo diventa di meno  o non lo diventa affatto per un soggetto che molte volte è solo in sovrappeso e quindi non pensa assolutamente di sottoporsi a tale tipo di intervento,oltre al fatto che interventi di questo tipo sono consentiti solo nei soggetti grandi obesi,nei quali il rischio e le conseguenze dell’intervento sono inferiori al problema della grande obesità.

A questo punto però sorge  spontanea una domanda:quali sono i meccanismi fisiopatologici che consentono in chi viene sottoposto a tale intervento di guarire dal diabete tipo2? Perchè tutto questo non accade con la stessa percentuale  con gli altri interventi di chirurgia bariatrica? Perchè non accade  invece con quelli sottoposti al solo  trattamento  farmacologico?

Rispondere a queste domande  serve non solo  a capire meglio la fisiopatologia del diabete tipo2 ma anche a  trovare una soluzione per la sua scomparsa così come avviene per i pazienti diabetici sottoposti a intervento di diversione bilio-pancreatica, o anche ad altro intervento di chirurgia bariatrica.

La  prima riflessione  spontanea  è questa: l’intervento di diversione bilio-pancreatica fà saltare al cibo introdotto nello stomaco il tratto bilio-pancreatico per cui,per forza di cose, non viene sottoposto alla digestione assicurata dalla concomitanza di azioni della bile e del secreto pancreatico, per cui i grassi non vengono  né digeriti né assorbiti.Per gli zuccheri e le proteine c’è sicuramente una minore digestione e anche un minore assorbimento, anche se non si arriva al basso valore ottenuto per i grassi e  tutto questo perchè una parziale digestione con  un parziale  assorbimento avviene nel tratto residuo di intestino tenue che chirurgicamente  è stato collegato direttamente allo stomaco,interrompendo quel  passaggio al duodeno dove,come sappiamo, converge sia la bile che il succo pancreatico.

In sintesi  il soggetto sottoposto a intervento di diversione bilio-pancreatica, di tutto quello che introduce con gli alimenti, non assorbe che  una parte ridotta di zuccheri  vuoi per la minore digestione ,vuoi per il minore assorbimento,  inoltre non assorbe  quasi per niente i grassi a causa della mancata digestione,  e quindi anche  per il mancato  assorbimento che  può avvenire  solo   in presenza di bile.

Non è  però da sottovalutare anche un altro elemento, rappresentato dal fatto che il soggetto sottoposto a intervento di diversione bilio-pancreatica,proprio perchè assorbe solo in parte gli alimenti introdotti,nel corso della giornata ne introduce una quantità di gran lunga superiore a quella di un soggetto normale,oltre al fatto che questo tipo d’intervento consente al cibo di arrivare subito e quindi in maggiore quantità al tratto distale dell’ileo dove le cellule L producono un’incretina il GLP1 che è molto più potente per il suo effetto inibitorio sulle cellule alfa produttrici di glucagone.

In questo modo si viene a creare a livello intestinale una maggiore produzione incretinica che determina il rilascio di una maggiore quantità di insulina, e anche di una maggiore stimolazione alla produzione, ma anche un effetto inibitorio sulle cellule alfa produttrici di glucagone,ormone controinsulare, con l’effetto di determinare una notevole azione ipoglicemizzante, capace e sufficiente  a vicariare la minore produzione di insulina in rapporto al ridotto patrimonio delle cellule beta, che col tempo sottoposto a tale continua sollecitazione tende a normalizzarsi per l’azione trofica dell’incretina GLP1 così prodotta.

Per tale motivo il paziente,sottoposto a tale tipo di intervento,vede la normalizzazione della sua glicemia e della sua insulinoresistenza quando ancora resta obeso.

Tale situazione perdura nel tempo nel senso che la glicemia resta sempre nella norma con valori normali di insulinemia,fatto questo che lascia perciò pensare a una maggiore stimolazione incretinomimetica per i motivi appena poco fà accennati.

Si consideri inoltre il fatto che questo tipo d’intervento riduce sensibilmente il transito dallo stomaco all’ultima parte dell’ileo,dove ci sono le cellule produttrici di incretine e questo fatto determina una stimolazione incretinica in un tempo minore proprio per il percorso più breve fatto dal cibo, ma anche in maniera più intensa per la quantità di cibo che raggiunge quel tratto dell’intestino, cosa questa che si realizza in condizioni fisiologiche solo se la dieta è ricca di fibre insolubili che velocizzano il transito intestinale per una loro maggiore azione peristaltica.Quanto appena detto va tenuto presente e nella giusta considerazione se si pensa al fatto che con l’alimentazione raffinata,povera di fibre lo svuotamento gastrico è più veloce,facendo così arrivare all’intestino una maggiore quantità di nutrienti nell’unità di tempo, ma subito dopo c’è un rallentamento per la diminuita peristalsi dovuta alla carenza di fibre che ritarda così l’arrivo del cibo in sede ileale dove può avvenire la stimolazione delle cellule produttrici di incretine che svolgono diverse funzioni come quella di ritardare lo svuotamento gastrico,l’inibizione della fame e  inoltre la stimolazione delle cellule beta sia nel loro trofismo che nel rilascio di insulina.oltre alla potente azione ipoglicemizzante che si viene a realizzare con l’inibizione delle dellule alfa produttrici di glucagone che per la sua azione controinsulare è causa di iperglucagonemia nel diabetico tipo2,fatto questo che comporta sia una ipergluconeogenesi che un aumento degli acidi grassi,fattori entrambi iperglicemizzanti per il fatto che gli acidi grassi competendo col glucosio per formare l’Acetil coenzima A,ne riducono il consumo che si associa a un aumento dovuto alla maggiore produzione di glicerolo oltre all’aumento della glicogenolisi epatica.

tutto questo viene bloccato nel soggetto sottoposto a diversione bilio-pancreatica,proprio perchè si viene a creare,come detto prima, una notevole stimolazione delle cellule ELLE del tratto distale dell’ileo e della prima parte del colon che determina un incremento nel rilascio di incretine del tipo GLP1

per dimostrare quanto detto è sufficiente determinare nei soggetti sottoposti a tale intervento sia il glucagone e verificare così che non c’è iperglucagonemia, così come pure il dosaggio del GLP1 che sarà nella norma o  sicuramente aumentato tanto è vero che i soggetti sottoposti a tale intervento hanno un indice di HOMA la metà dei soggetti normosensibili, fatto questo che io ho potuto verificare di persona su alcuni miei pazienti.

Come si vede l’intervento va a realizzare condizioni che convergono attraverso le varie azioni sopra descritte a regolarizzare la glicemia in soggetti ancora obesi.

Si aggiunga a tutto questo il fatto che in questo modo si viene a determinare  per forza di cose una riduzione sensibile della massa adiposa  viscerale che così comporta una riduzione di quella iperproduzione sia di glicerolo, fonte di ipergluconeogenesi, sia di acidi grassi che,competendo con gli zuccheri per la formazione dell’acetil coenzima A determinano di fatto un minore  consumo periferico di glucosio da parte di tutte le cellule dell’organismo.

La somma di tutti  questi  fattori appena indicati diventano determinanti  sia per ridurre a mano a mano i valori glicemici,sia per  annullare  l’insulino resistenza,andando a ripristinare  quella normosensibilità, premessa indispensabile per  determinare la guarigione dal diabete tipo2.

Quanto appena detto è facilmente verificabile nei soggetti diabetici obesi sottoposti a intervento di diversione bilio-pancreatica.la determinazione della glicemia associata a quella dell’insulinemia e dell’emoglobina glicata ci fà vedere un valore basso di glicata, un valore nella norma di glicemia e un valore basso di insulinemia espressione di normosensibilità,fenomeno quest’ultimo venuto a realizzarsi per il concorrere di tutti quei fattori poco prima menzionati- e cioè la maggiore stimolazione incretinica per la maggiore velocità di transito del cibo dallo stomaco all’ileo,il ridotto assorbimento di grassi e di zuccheri,che impediscono quell’accumulo di glicogeno causa di insulinoresistenza per i motivi già tante volte ricordati.

A questo punto si possono seguire due strade:la prima è quella di mettere il soggetto diabetico nelle stesse condizioni di chi viene sottoposto a intervento di diversione bilio-pancreatica, assicurandogli una  corretta quantità di proteine,una ridotta quantità di zuccheri e riducendo i grassi solo a quei pochi che  consentono di  assicurare la fornitura di quelli cosidetti essenziali che, non potendo essere sintetizzati,  necessitano dell’assunzione  dall’esterno.A tutto questo si aggiunga il fatto di introdurre cibi ad alto contenuto di fibre,sia solubili che insolubili,in modo da andare a determinare un rallentamento dello svuotamento gastrico per il tramite delle fibre solubili e invece una velocizzazione del transito intestinale per il tramite di quelle insolubili,in modo da arrivare a una precoce e duratura stimolazione incretinomimetica che invece manca nell’alimentazione raffinata della nostra società

In questo modo è verosimile pensare  che avremo lo stesso risultato che il professore Scopinaro ha avuto con i suoi pazienti sottoposti a intervento di diversione bilio-pancreatica e cioè scomparsa al 100% dei casi di diabete tipo2,  e tutto questo prima ancora che il paziente diventi magro, quando è ancora obeso.

I colleghi, sia essi diabetologi che internisti, non hanno che da verificare tale ipotesi  sul campo anche se capisco che  non è semplice convincere il paziente a fare una dieta di sole proteine, senza grassi e con pochissimi carboidrati.Posso assicurarvi da parte mia che tale metodo funziona e che i risultati sono davvero incoraggianti perchè ci si accorge che a mano a mano che si procede con tale tipo di dieta i valori glicemici scendono fino ad arrivare non solo alla normalità,alla scomparsa  totale del cosidetto effetto alba, ma sopratutto alla scomparsa dell’insulinoresistenza che è quella che impedisce all’insulina presente di funzionare così come accade invece nei soggetti normosensibili.

Il secondo punto da trattare è questo:spiegare in termini fisiopatologici perchè  tutto questo è possibile non solo con l’intervento di diversione bilio-pancreatica ma anche  con la dieta appena proposta che è  tout court  una simulazione di quello che avviene con l’intervento chirurgico.

Tale argomento  però sarà trattato a breve in un altro articolo e consentirà di capire finalmente tutti gli intimi meccanismi che sono alla base dell’insulino resistenza nel diabete tipo2 e  anche di come è possibile ripristinarne la normosensibilità, come di fatto già avviene nei soggetti sottoposti all’intervento chirurgico appena citato, ma anche in quelli che con la sola dieta appena sopra  proposta  vedono scomparire sia l’iperglicemia che l’insulinoresistenza,così come ho potuto verificare di recente  su alcuni miei pazienti.

Sarà opportuno  perciò chiarire tutta una serie di passaggi sia di natura biochimica che fisiologica e fisiopatologica che alla fine saranno messi insieme da un unico filo conduttore che farà finalmente luce in modo chiaro e inequivocabile sulla fisiopatologia del diabete tipo2 e sulla possibilità di guarigione peraltro già dimostrata da oltre venti anni  dal professore Scopinaro col suo intervento di diversione bilio-pancreatica.

In attesa della preparazione di tale articolo che ho già presente in tutti i suoi punti ma  che ho solo la necessità di organizzare  in modo chiaro da consentire a chi legge di comprendere subito e bene gli intricati meccanismi fisiopatologici che vengono a instaurarsi nel diabete tipo2 , chiedo ai colleghi di incominciare a seguire la strada prima  indicata che diventa di fatto una simulazione quasi al 100% di quella realizzata dall’intervento chirurgico di diversione bilio-pancreatica.

Faccio notare una delle anomalie che riscontriamo nel soggetto diabetico che pur avendo una iperglicemia gli consentiamo di aggiungere altri zuccheri, senza tenere presente anche l’importanza dei grassi che nel momento in cui sono presenti fanno bruciare meno zuccheri, anche perchè è venuto meno l’iperinsulinismo compensatorio che fino a quel momento aveva mantenuto nella norma la glicemia e cosa che noi continuiamo a fare con i farmaci secretagoghi che stimolando il rilascio di insulina contribuiscono a quell’iperinsulinismo appena citato,senza però interrompere questo circolo vizioso che alla fine lascia il paziente diabetico a vita,negandogli quella guarigione che altri hanno ottenuto attraverso le modalità prima indicate.

Voglio aggiungere  una cosa molto semplice che diverrà chiara quando sarà pronto l’articolo in itinere sulla fisiopatologia del diabete tipo2:seguendo la dieta appena indicata si riesce in breve tempo a normalizzare i valori glicemici,fatto questo che non deve indurre a interromperla fino a quando non riusciremo a determinare quell’ipoglicemia fisiologica che sarà la riprova del completo svuotamento dei depositi di glicogeno del fegato .Posso assicurarvi che oggi tutto questo è ben chiaro potendo così finalmente  dare una svolta significativa a una patologia che sembra dover accompagnare inesorabilmente  il paziente per tutta la vita.

In attesa della preparazione del  prossimo articolo voglio fare già adesso  una breve sintesi, in modo da dare subito  ai colleghi  l’idea del modello proposto per la fisiopatologia del diabete tipo2,consentendo così di poter operare da subito per quel lavoro di normalizzazione non solo della glicemia, ma sopratutto per la scomparsa dell’insulinoresistenza che, una volta eliminata,consentirà di interrompere quel circolo vizioso che il paziente diabetico si porta dietro per tutta la vita fino ad arrivare al trattamento insulinico.

In condizioni fisiologiche,in un soggetto normopeso,il rifornimento energetico alle cellule viene assicurato dal 50-60% dai carboidrati e dal 20-25-% dai grassi.La quota restante riguarda le proteine.In questo modo il tessuto adiposo, per le sue dimensioni,è in grado di provvedere in minima parte al rifornimento energetico delle cellule, per cui necessita sempre  dell’integrazione epatica che per le sue riserve di glicogeno contribuisce alla quota restante,determinando così lo svuotamento di glicogeno del fegato che a sua volta necessita  di ripristino dall’esterno.

Tutto questo cambia  totalmente nel momento in cui l’aumento della massa adiposa viscerale,ingrandendosi,non contribuisce più per il 20% ma diventa tale da non avere più la necessità dell’integrazione epatica,al punto che finisce col superare tale valore e fornire più di quanto sia necessario.Di tutto questo non ci accorgiamo perchè nel momento in cui si alza la glicemia,l’intervento dell’insulina blocca la lipolisi, mentre invece viene fuori quando la mancanza relativa di insulina nel diabete non è più in grado di fermare questa iperproduzione da parte del tessuto adiposo.

Si tenga conto inoltre di un fatto importante:la maggiore liberazione di trigliceridi rilasciata dal tessuto adiposo viscerale aumentato diverse volte il valore normale,non più frenato dall’iperinsulinismo fisiologico compensatorio determina non solamente un aumento dell’ipergluconeogenesi per il tramite del glicerolo, ma anche e sopratutto un minore consumo di glucosio per l’eccessiva quantità di acidi grassi liberati che vanno così a competere col glucosio per la formazione dell’Acetil coenzima A.Quest’ultimo fattore appena indicato è di gran lunga più importante dell’ipergluconeogenesi da glicerolo, per cui l’obiettivo da tenere presente è quello di riportare il tessuto adiposo viscerale al minore valore possibile in modo da ristabilire quel gioco fisiologico che esiste tra glucosio e grassi nella fornitura del materiale energetico.In sintesi possiamo dire che l’iperglicemia è il risultato di una maggiore gluconeogenesi, ma sopratutto di un minore consumo periferico di glucosio a causa della notevole quantità di acidi grassi liberati, fattori questi che insieme vanno anche a riempire i depositi di glicogeno che diventano così incapaci di ammortizzare l’iperglicemia che si è venuta a determinare.Si faccia questo semplice calcolo:per soli 30 grammi di grasso non vengono bruciati ben 70 grammi di glucosio,mentre invece per 50 grammi di grasso si arriva oltre i 110 grammi,se poi si aggiunge anche la quota di carboidrati dall’esterno si capisce che i valori glicemici aumentano ancora di più anche perchè  resta invariato il consumo periferico. Questi numeri danno un’idea abbastanza precisa del fenomeno che in genere è quasi misconosciuto;per questo motivo l’intervento di diversione bilio-pancreatica raggiunge successi in percentuale superiore  agli altri interventi di chirurgia bariatrica che, pur facendo dimagrire il paziente in modo sensibile,non limitano l’assorbimento dei grassi e dei carboidrati per cui si crea l’inconveniente di cui poco prima abbiamo parlato.A questo punto però,e lo si capisce subito,se il paziente sottoposto ad esempio a intervento di gastrectomia verticale viene anche istruito sulla necessità di una riduzione drastica e dei carboidrati ma sopratutto dei grassi, non si potrà che avere lo stesso risultato che si ha nei soggetti con diversione bilio-pancreatica, col vantaggio però che sicuramente si evita una sindrome da malassorbimento e si modula nel tempo l’introduzione dei nutrienti in funzione dell’andamento del peso e della glicemia.

Come si vede c’è un gioco complesso e intricato di meccanismi fisiopatologici che , solo se  tenuti presenti, consentiranno di fare quello che il professore Scopinaro invece realizza col suo intervento di diversione bilio-pancreatica.

L’osservazione clinica infatti ci fà vedere che il soggetto diabetico, anche se non introduce cibo,vede aumentare la glicemia.Questo stà a significare che c’è una iperproduzione interna che nel soggetto normale(obeso-iperproduttore di glicerolo e di acidi grassi) viene mascherata e annullata dall’iperinsulinismo compensatorio che già molto spesso si accompagna a ipertensione arteriosa che si continua a ritenerla essenziale e invece è secondaria a insulinoresistenza.

Riducendo pertanto la massa adiposa viscerale,assieme alla mancanza di grassi esterni, si finisce con il raggiungere un valore tale per cui, anche se per poco c’è la necessità di integrazione  del fegato  che comincia così a svuotarsi di glicogeno, elemento indispensabile per abbassare l’insulinoresistenza, anche se bisogna arrivare nelle condizioni di un raggiungimento di valori normali della massa adiposa viscerale,premessa indispensabile per un fisiologico funzionamento, anche se la normalizzazione dei valori glicemici si ha molto prima che si raggiunga tale valore ottimale.

Nella pratica quotidiana non solo diventa difficile ridurre la massa adiposa viscerale che è il primum movens nel diabete tipo2 della iperproduzione sia di glicerolo che di acidi grassi,ma capita spesso che il paziente aumenti di peso proprio perchè la somministrazione dei farmaci secretagoghi lo costringe a mangiare per evitare l’ipoglicemia.Aggiungi a tutto questo il fatto che resta l’introduzione dei grassi e dei carboidrati,anche se in misura minore, ma non tale da portare a un miglioramento sensibile se non dovuto all’effetto degli ipoglicemizzanti orali che ripristinano quell’iperinsulinismo farmacologico che prima era mantenuto nel soggetto pre-diabetico da quello fisiologico.Se non si interrompe perciò  questo circolo vizioso ci si accontenterà solamente di mantenere la glicemia nei valori accettabili,rinunciando però alla possibilità di guarigione che si avrà solo nel momento in cui sarà possibile annullare l’insulinoresistenza di cui prima abbiamo già parlato.

Si tenga presente che i soggetti diabetici che comunque hanno ridotto il loro peso a valori più bassi possono restare tali per il fatto che continuano a introdurre una quantità di grassi tale che non potendo essere spostata verso i depositi,resta in circolo e competendo col glucosio ne riduce drasticamente il consumo per cui è sempre necessaria la limitazione notevole dei lipidi in modo che nel momento in cui và ad aumentare il consumo di glucosio,ovviamente non compensato dall’apporto esterno potrà cominciare quello svuotamento dei depositi di glicogeno del fegato che è la premessa per il ripristino del funzionamento degli enzimi esokinasi e glucokinasi già molte volte ricordati.

importante però resta l’assunzione di cibo ad alto contenuto di fibre che deve poter consentire la stimolazione e la produzione a livello dell’ileo distale delle incretine GLP1 che per la loro azione ipoglicemizzante dovuta all’inibizione delle cellule alfa produttrici di glucagone,diventano elemento determinante nella risoluzione del problema, consentendo un rapido instaurarsi della normosensibilità all’insulina.

Si ricordi sempre il fatto che questo è possibile e che l’intervento di diversione bilio-pancreatica l’ha  già dimostrato nel 100% dei pazienti.Non resta che ottenere lo stesso risultato anche  nei pazienti non sottoposti a intervento ma nei quali  però si va a simulare la stessa situazione così come già descritto precedentemente.Devo constatare però che questo non accade nella pratica quotidiana tanto è vero che ci si accontenta di avere  una glicata attorno a 6-7,valori che indicano una media glicemica oltre 130 che non potrà mai consentire lo svuotamento di glicogeno del fegato e dei muscoli,premessa indispensabile per l’annullamento dell’insulinoresistenza.

Al momento una lettura dell’articolo sempre sullo stesso sito:”chiarite le cause dell’insulinoresistenza” consentirà già  di avere una visione più chiara di quanto appena detto, anche se mi rendo conto della necessità di una trattazione più completa in modo da mettere i colleghi interessati al problema “diabete tipo 2” di poter ottenere nella pratica quotidiana gli stessi risultati che il Professore Scopinaro ottiene da anni col suo intervento di diversione bilio-pancreatica.

In conclusione possiamo dire che i soggetti grandi obesi ma anche diabetici che sono sottoposti a intervento di diversione bilio-pancreatica guariscono dal diabete tipo2 sia perchè la riduzione di peso porta a una sensibile e progressiva diminuzione della massa grassa viscerale che con la sua iperproduzione di dismissione in circolo di una maggiore quantità di trigliceridi è il primun movens della noxa diabetica sia per l’aumento della gluconeogenesi per il tramite del glicerolo, sia e sopratutto per la notevole quantità di acidi grassi liberati in circolo che competono col glucosio per la formazione dell’Acetil coenzima A,oltre al fatto che in questo modo,per i motivi già prima esposti, si annulla l’insulinoresistenza a livello epatico e muscolare per lo svuotamento dei depositi di glicogeno che consentono così e alla via enzimatica lenta data dall’esokinasi sia alla veloce data dalla glucokinasi di funzionare e di consentire il passaggio del  glucosio per differenza di concentrazione.Resta solo perciò alla fine la minore produzione di insulina nei confronti di un soggetto normale, ma tutto questo non comporta niente per il fatto che è scomparsa l’insulinoresistenza e l’iperproduzione di trigliceridi,oltre al fatto che il mancato assorbimento dei grassi assieme al minore assorbimento di carboidrati consentono di far restare la glicemia nella norma per l’attivazione continua data dall’esokinasi che funziona sempre anche senza l’intervento dell’insulina.

In sintesi si può dire,usando un linguaggio più tecnico,che nel soggetto con diabete tipo2, al suo sistema omeostatico glicemico di cui il sangue è un elemento,arriva una iperproduzione interna di materiale energetico rappresentato da grassi e glucosio, a cui  và ad aggiungersi una fornitura esterna che,contribuendo all’aumento della glicemia, vanno così a  determinare il riempimento dei depositi di glicogeno del fegato e dei muscoli  instaurando così  quell’insulino resistenza legata al blocco metabolico a livello dell’UDPG sulla sintesi del glicogeno la cui  conseguenza immediata è il blocco degli enzimi ‘esokinasi e  glucokinasi, deputati entrambi  alla trasformazione del glucosio in glucosio 6 fosfato. In questo modo viene impedita  il realizzarsi di quella differenza di concentrazione che invece  in condizioni fisiologiche permette l’accumulo,sotto forma di glicogeno, del glucosio ematico.Per questo motivo la riduzione delle due iperproduzioni,interna ed esterna,è la sola via che consente di andare ad annullare l’insulinoresistenza appena descritta e tutto questo lo fà bene sia l’intervento del professore Scopinaro, sia chi, così come sopra descritto, và a  simulare  la stessa situazione.In questo modo si arriva per forza di cose alla guarigione dal diabete tipo2,perchè si blocca l’iperproduzione interna che è causa non soltanto di ipergluconeogensi ma sopratutto di aumento di acidi grassi, si limita quella esterna per cui non c’è sommatoria  e si annulla  così tout court l’insulinoresistenza perchè si ripristina il funzionamento degli enzimi esokinasi e glucokinasi che permettono il passaggio lento e veloce del glucosio negli organi glicogenosintetici per essere capaci di creare quella  differenza di concentrazione così come prima e più volte già accennato.

Si consente inoltre l’incremento di GLP1, che invece è carente nel diabete tipo2,che per la sua potente azione ipoglicemizzante ampiamente documetanta,ci consente di ottenere lo stesso risultato.

A quanto appena detto si aggiunga quest’ultima considerazione:il soggetto diabetico ha quindi un minore consumo di glucosio ben lontano dai valori ottimali che si realizzano in condizioni fisiologiche quando a contribuire alla fornitura energetica delle cellule il glucosio interviene nella misura del 50-55% rispetto al 20-25% dei grassi.Tale rapporto nel diabetico si sovverte totalmente per la maggiore produzione di trigliceridi data dall’aumento del tessuto adiposo viscerale, aumento non più frenato dall’iperinsulinismo compensatorio nel soggetto non ancora diabetico.Per questi motivi si creano le condizioni fisiopatologiche prima descritte e che però possono essere ribaltate attraverso le modalità sempre sopra indicate e di cui l’intervento di diversione bilio-pancreatica ne rappresenta un esempio,proprio perchè,giova ancora ripeterlo, realizza nel tempo una diminuzione della massa adiposa viscerale che così diminuisce la sua iperproduzione, oltre  a  ridurre  drasticamente l’apporto esterno dei grassi  assieme a una  marcata riduzione anche dei carboidrati attraverso le modalità già spiegate nel corso dell’articolo.Tenendo presente questo modello si può essere certi di avere la guarigione dal diabete tipo2 in un tempo abbastanza breve, anche se conviene per le ragioni fisiopatologiche di dui sopra,di spingerci in modo tale da avere una riduzione del tessuto adiposo al punto tale che la sua fornitura si attesti al 20%,in modo da consentire così l’introduzione di una maggiore quantità di carboidrati che si renderà necessaria per la fornitura energetica delle cellule.

Si tenga presente che questo risparmio di carboidrati a spese dei grassi  che diventano i maggiori fornitori di Acetil coenzima A consente in condizioni fisiologiche di tenere la glicemia a valori tali per cui non scatta il senso della fame e quindi dovrebbe evitare l’introduzione di altri alimenti,dall’altra consente di ridurre il tessuto adiposo e di riportarlo così a quei valori fisiologici che,come abbiamo detto prima, consentono il giusto equilibrio di fornitura tra fegato e tessuto adiposo, evitando così l’instaurarsi di quelle condizioni che portano all’insulinoresistenza che a sua volta necessita di essere compensata dall’ iperinsulinismo che a lungo andare porta a quell’esaurimento parziale delle betacellule che sfociano nel  diabete tipo2, nel momento in cui la produzione di insulina sarà inferiore all’insulinoresistenza  presente.

Solo avendo questa visione d’insieme sarà possibile fare quanto appena proposto, consentendo così la guarigione dal diabete tipo2 dovuta alla scomparsa dell’insulinoresistenza secondaria,come prima abbiamo detto, all’iperproduzione interna ed esterna sia di grassi che di carboidrati.

leggere l’articolo “” Chiarite le cause dell’insulinoresistenza”

POST SCRIPTUM:Mi sia consentita un’ultima riflessione sull’intervento di diversione bilio-pancreatica.Esso non è importante per il fatto che consente  di guarire il paziente dal diabete tipo2,perchè non convince l’idea di sottoporre i diabetici tipo2 a tale tipo d’intervento, a meno che essi non siano dei grandi obesi.Importante è invece  la lettura che bisogna dare al risultato che riesce ad ottenere:l’intervento di diversione bilio-pancreatica ci dice che il processo patogenetico che porta al diabete tipo2 è un processo reversibile, che lo è in tempi brevi e lo può essere  in modo duraturo.Si tratta solo di capire come tutto questo avviene e di questo,  pur  avendone  parlato ampiamente nell’articolo di cui sopra,voglio ricordare i punti essenziali:

1)Riduzione sensibile della massa adiposa viscerale in modo da diminuire l’iperproduzione di trigliceridi,causa non soltanto di ipergluconeogenesi ma anche di eccesso di acidi grassi che vanno a competere col glucosio per la formazione dell’Acetil coenzima A,determinando così indirettamente un minore consumo periferico.

2)Mancato assorbimento dei grassi apportati dall’esterno per la mancata digestione e quindi mancato assorbimento con il risultato che viene impedita all’iperproduzione interna di trigliceridi appena accennata quella esterna data con gli alimenti.

3)marcata riduzione dei carboidrati sia per la diminuzione della digestione sia per il ridotto assorbimento.

4)maggiore attività incretinomimetica dal momento che il soggetto sottoposto a tale tipo d’intervento per assorbire 1 deve introitare 3-4 e quindi realizza una stimolazione intestinale che porta ad un’amplificazione della produzione di incretine che può consentire così un maggiore rilascio di insulina;in altre parole si viene a creare una situazione simile, anche se fisiologica, agli ipoglicemizzanti orali.tutto questo può essere quindi ottenuto nei soggetti normali, non sottoposti ad intervento attraverso cibi ricchi di fibre solubili che ritardando la velocità di transito intestinale vanno a deterninare una maggiore stimolazione incretinica che può avere un peso rilevante nella normalizzazione dei valori glicemici

Tutti questi elementi messi insieme mettono in moto un meccanismo contrario a quello patogenetico che porta al diabete tipo2 le cui spiegazioni fisiopatologiche ho cercato di illustrare sia nell’articolo di cui sopra, sia in quello dal titolo “chiarite le cause dell’insulinoresistenza “.

Per tale motivo la simulazione fatta sul paziente diabetico,anche senza sottoporlo ad intervento chirurgico,porterà allo stesso risultato col vantaggio che sarà consentita almeno l’introduzione dei grassi essenziali e con la possibilità di modulare ancora meglio l’introduzione dei carboidrati che almeno all’inizio possono essere ridotti al valore più basso possibile, andando ad aumentarne l’introduzione a mano a mano che migliorano i parametri glicemici.

Alla fine di questo percorso che porta alla guarigione dal diabete tipo2,perchè viene ripristinata la normosensibilità all’insulina,il solo limite è rappresentato dal fatto che il soggetto dispone di una minore quantità di insulina, per cui se sottoposto a un carico di carboidrati impiegherà più tempo a riportare la glicemia ai valori normali; tale inconveniente però  può facilmente essere risolto attraverso la maggiore distribuzione della somministrazione dei carboidrati durante l’arco della giornata, consentendo così alla via enzimatica lenta,quella dell’esokinasi, di poter operare quellla differenza di concentrazione che permette il passaggio di glucosio dal sangue ai depositi e lasciando così all’insulina residua di cui dispone il paziente a fare tutto il resto.

La maggiore stimolazione incretinica del tratto distale del tenue non solo ripristina il trofismo delle betacellule,ma consente la normalizzazione della glicemia perchè si sfrutta l’effetto inbitorio sulle cellule alfa produttrici di glucagone, per cui con poca insulina si mantiene nella norma la glicemia.

un mio paziente,operato di diversione bilio-pancreatica, anche se ancora obeso, ha un indice di HOMA a 0,5,là dove nei soggetti normosensibili ritroviamo il valore di 1,olre a una glicata che và verso il 4, a testimonianza di un ottimo funzionamento del sistema omeostatico glicemico, e a fronte del fatto che mangia più del doppio .

ferdinandocarotenuto@gmail.com   3382692965

Diabete Gestazionale:troppo spesso sfugge.

D:Perchè bisogna parlare di diabete gestazionale?Cosa c’è di nuovo sull’argomento?

R:L’esperienza quotidiana, come medico di base, mi ha portato alla convinzione  che molto spesso agli ostetrici sfugge il diabete gestazionale.

Mi capita infatti  di osservare che in  non pochi casi se ne accorgono solo quando sono già evidenti  le conseguenze di tale patologia, come ad esempio la macrosomia fetale ecograficamente rilevata , la sofferenza placentare o il parto prematuro.

D: Cosa si può fare per evitare di incorrere in tali inconvenienti e come mai succede tutto questo?

R: Gli ostetrici  hanno  ben presenti i danni determinati dal diabete gestazionale sia alla mamma che al feto, per cui non è il caso di ricordarlo.

Conviene invece capire perchè in molti casi tale patologia sfugge.

La cosa strana  è  che non sono pochi quelli  ai quali sfugge,fatto questo che sta a significare  che tutto ciò non è dovuto al singolo ostetrico, ma al modo  talvolta insidioso con cui si presenta il diabete gestazionale.

D: Allora bisogna cercare di capire perchè succede tutto questo?

R: A questo punto  per  capire meglio come stanno le cose e cosa può fare   l’ostetrico per evitare di trovarsi in ritardo rispetto alla comparsa del diabete gestazionale, è opportuno chiarire alcuni punti di seguito riportati.

Tutte le donne, arrivate alla 24 settimana , passano nella fase diabetogena della gravidanza, fase nella quale l’organismo   comincia a produrre quegli ormoni-contro insulari che possono slatentizzare  il diabete gestazionale.

A questo punto chi vuole essere certo di non incorrere in tale patologia dovrebbe fare una prova da carico per accertare  se la curva è di tipo diabetico.

Il più delle volte questo non accade per il semplice fatto che la glicemia di quella donna è assolutamente nella norma e non poche volte su valori nemmeno sospetti, per cui l’ostetrico,per nulla insospettito, non procede ad un ulteriore approfondimento.

D: Mentre invece si dovrebbe?

R:A rigor di logica bisogna tener presente che il diabete gestazionale può comparire solo se la donna è insulino resistente, mentre invece se è normo sensibile  non ha  assolutamente  alcun rischio, proprio perchè non sussistono  le condizioni metaboliche perchè questo possa accadere.

Il concetto testé espresso è di fondamentale importanza perchè chi non lo tiene presente non capirà  mai  i motivi per cui  alcune donne e solo alcune andranno incontro a diabete gestazionale.

D: Si tratta allora di capire in che modo è possibile sapere se quella donna gravida è normo sensibile o insulino resistente?

R: Certamente. Non possiamo però immaginare  di chiedere alla signora:scusi, ma lei è insulino resistente?

E’ necessario invece  determinare tra i vari esami di laboratorio, già  richiesti di  routine, anche il dosaggio dell’insulinemia a digiuno, a cui è sempre meglio  aggiungere anche  la determinazione dell’FT3,FT4 e TSH per i motivi che andrò a spiegare di quì a poco, dopo aver  meglio chiarito  il problema dell’insulino resistenza e della normo sensibilità all’insulina.

D: Sono esami questi come l’insulinemia a digiuno e il profilo tiroideo sopra indicato  che non fanno parte però  degli esami di routine richiesti dai ginecologi?

R:Questo è assolutamente vero, ma ciò accade per il motivo che il problema dell’insulino resistenza  è  di  competenza più  dei diabetologi che degli ostetrici, anche se  su tale argomento,diciamocelo pure,  gli stessi diabetologi hanno  ancora una visione limitata  che non tiene  conto del mio studio biochimico e fisiopatologico su questo problema,  e quindi capace di fornire un modello interpretativo dell’insulino resistenza molto più esaustivo.

D: A questo punto allora è opportuno non divagare ed entrare nel cuore del problema,in modo da capire qual’è la nuova strada da seguire per  prevenire  in tempo che la gravida vada incontro a diabete gestazionale.

R:Moltiplicando il valore della glicemia a digiuno, espressa in mg per dl, per il valore dell’insulinemia e dividendo il prodotto per 405, abbiamo un valore  nelle gravide fisiologiche  intorno a  uno (1).

Questo significa ad esempio che per un valore di 80 di glicemia, la relativa insulinemia non supera i 6,  valore questo che esprime la quantità di insulina necessaria  in quella donna  a mantenere quel valore di glicemia;in condizioni di insulino resistenza invece quello stesso valore può associarsi ad es.  ad una insulinemia di 22 che dà quindi un indice di HOMA di quattro.

D: Cosa significa  allora tutto questo?

R:Significa una cosa molto semplice : l’ostetrico vede due donne con lo stesso valore,80 nel caso specifico, che però esprimono una diversa sensibilità all’insulina.La prima assolutamente normale, la seconda è invece  una insulino resistente  per cui, nel momento in cui scatta la fase diabetogena,andrà incontro a  diabete gestazionale.

In questo caso l’ostetrico, sulla base del  solo valore di glicemia a digiuno, non sospetta assolutamente che quella donna è candidata sicura  al diabete gestazionale.

Allo stesso tempo è necessario sapere anche  il suo FT3-FT4 e sopratutto il TSH, perchè molto spesso l’insulino resistenza è determinata o associata a una tiroide pigra per cui il suo FT3 o è al di sotto della norma o ai limiti bassi, con associato un TSH che va verso valori alti anche se ancora  compresi nel range di normalità, condizioni queste che entrambe possono favorire  il diabete gestazionale,in virtù del fatto che  determinano un rallentamento del metabolismo, attraverso un minore consumo di O2, e di conseguenza anche di glucosio.

Chi ha esperienza di Medicina interna sà che i soggetti   ipotiroidei hanno una maggiore probabilità  di essere insulino resistenti,situazione che ritorna alla norma con la correzione farmacologica con tiroxina.Altresi è noto, a chi ha avuto la fortuna come me di osservare tali casi, che un soggetto con diabete tipo2 e quindi insulino resistente vede scomparire sia l’iperglicemia che l’insulino resistenza se va incontro a ipertiroidismo, comunque indotto.

D: A  questo punto però  è  opportuno chiarire meglio i meccanismi alla base dell’insulino resistenza, visto che senza di essa non c’è  né  mai potrà esserci diabete gestazionale.

R: Tutto questo è vero anche se non credo però  che  si debba  gravare gli ostetrici di tutti i ragionamenti biochimici e fisiopatologici alla base dell’insulino resistenza,  per il semplice motivo che  gli stessi diabetologi li ignorano andando avanti con uno schema  riduttivo che   mai  potrà consentire loro come  si possa  predire un diabete gestazionale, tanto è vero che per farlo  aspettano  la 24-26 settimana per fare una curva da carico e vedere se si tratta di una curva di tipo diabetico.

Chi vuole   però per sua scienza personale approfondire quest’argomento non ha che da   andare sempre sul sito www.diabeteeipertensione.it e  leggere quanto da me scritto sia sul capitolo: Diabete gestazionale: fisiopatologia, sia sul capitolo:  Chiarite le cause dell’insulino resistenza.

D: In che modo allora  praticamente si può procedere per evitare di lasciarsi sfuggire un diabete gestazionale?

R:io credo che bisogna facilitare  il percorso al ginecologo-ostetrico che deve fare una cosa molto semplice.

Appena la donna inizia la gravidanza deve aggiungere alla glicemia anche l’insulinemia, l’FT3- FT4 e TSH. Se il valore dell’indice di HOMA è 1 e il valore di FT3 non ai limiti bassi,  con TSH basso, non deve preoccuparsi.

Deve  invece scattare l’allarme  quando  l’indice di HOMA sale  verso 2-3-4, perchè tutto questo significa che la donna sta sviluppando insulino resistenza e quindi sarà passibile sicuramente di diabete gestazionale dalla 24 settimana in poi.In questo caso bisogna procedere alla determinazione degli ormoni tiroidei prima citati e se ci si trova un TSH che va verso valori alti assieme a un FT3 basso, somministrare subito eutirox 25  o 50 o anche 75, fino ad avere un valore accettabile di FT3 e di FT4,principale fonte di produzione di FT3, ma sopratutto  un valore di TSH  al di sotto di 1, che sta a significare che c’è una buona funzionalità tiroidea a cui in contro-reazione l’ipofisi risponde con una bassa produzione di TSH. In questo modo la somministrazione di levotiroxina andrà ad incrementare la produzione di FT4 da cui deriva poi l’FT3 che insieme andranno a bloccare il TSH. Allo stesso tempo,portata ai valori normali o migliori possibili  la funzionalità tiroidea, utile peraltro anche per il feto, trattare la donna come se già fosse in diabete gestazionale, andando a ridurre i carboidrati, prediligendo quelli a basso indice glicemico e a basso carico, ma sopratutto cibi ad alta capacità incretinica con particolare riguardo all’incretina GLP1

I cibi con tali catteristiche sono i cibi ricchi di fibre sia solubili che insolubili, come le verdure gli ortaggi e sopratutto i legumi che sono in grado di andare a stimolare le cellule elle dell’ultimo tratto dell’intestino tenue e della prima parte del colon-tali cellule sono produttrici di GLP1

Tale incretina è insulinosensibilizzante perchè capace di inbire le cellule alfa produttrici di glucagone che se non inibito determina ipergluconeogenesi e anche aumento degli acidi grassi.

Frazionare i pasti il più possibile e consigliare una passeggiata dopo pranzo e dopo cena, in modo da sfruttare la differenza di concentrazione che così si viene a creare tra il sangue e i tessuti ,differenza che mima l’azione dell’insulina.In parole povere il movimento fà quello che fà l’insulina.

Le spiegazioni biochimiche e fisiologiche sono state trattate altrove sul sito e ad esse si rimanda per chi vuole essere convinto di quanto affermato.

D:tutto questo a cosa serve?

R:serve a fare la diagnosi molto prima, perchè nessuno può  immaginare(almeno lo spero )  che la gravida diventi insulino resistente all’ultimo momento. Lo è invece  sicuramente  da prima,molto verosimilmente già dall’inizio o addirittura prima, con la differenza però  che non viene fuori perchè l’iperinsulinismo compensatorio annulla l’insulino resistenza, cosa che invece non diventa più possibile quando scatta la fase diabetogena.

Allora chi è normosensibile all’insulina non avrà da preoccuparsi,chi invece è insulino resistente trapassa inesorabilmente senza accorgersene  nel diabete gestazionale e l’allarme  purtroppo scatta solamente  quando se ne vedono gli effetti che gli ostetrici conoscono bene,e per la verità tanto temono.

Tutto questo significa una sola cosa:il solo modo corretto e scientifico per essere sicuri che una donna possa avere un diabete gestazionale è sapere se è insulino resistente.

Oggi invece si usano criteri empirici come il fatto che una donna è a rischio se figlia di madre diabetica o se è in sovrappeso, elementi che non sempre sono validi.Infatti una donna obesa potrebbe anche non essere insulino resistente, così come una figlia di madre diabetica.lo stesso vale per una figlia di madre non diabetica che invece può sviluppare insulino resistenza più facilmente se presenta valori bassi di FT3 o di TSH alti.

D:cosa bisogna fare in pratica?

R:bisogna monitorare i parametri che ho già prima  segnalato e che invece non fanno parte degli esami di routine richiesti. Non appena ci si accorge che l’indice di HOMA si allontana dalla norma si provveda a fare quanto detto prima.

Questo controllo può essere fatto una volta al mese in modo da cogliere in tempo qualsiasi  variazione di tali parametri.Non appena l’indice di HOMA aumenta si intervenga  subito dando sopratutto un occhio alla funzione tiroidea che in molte donne è rallentata perchè molte  di esse hanno una tiroidite di Hashimoto silente, fino a quel momento  non ancora diagnosticata e svelata  dalla determinazione degli anticorpi antiperossidasi e antitireoglobulina ecc.Avere il vantaggio di saperlo molto prima ci consente di azzerare  del tutto i casi di diabete gestazionale e di evitare di lasciarsi sfuggire quelli che hanno solo apparentemente i valori nella norma, come il caso portato ad esempio prima, venuto alla mia osservazione come medico curante di base, anche se studioso però dei problemi dell’insulino resistenza nel diabete tipo2.

Voglio aggiungere un’ultima cosa che mi capita di osservare anche nelle donne non gravide ma in molti soggetti ipertesi che anche se vengono inquadrati come ipertesi essenziali sono invece secondari ad insulino resistenza che determina un iperinsulinismo compensatorio che porta all’ipertensione per l’effetto simil aldosteronico dell’insulina.

D:cosa c’entra quanto appena detto con la donna gravida e con il diabete gestazionale?

R:la risposta è semplice ed è questa:nelle donne gravide insulino resistenti, passibili di diabete gestazionale dopo la 24 settimana, è possibile trovare già prima della 24 settimana  un’ipertensione arteriosa che si spiega con l’iperinsulinismo secondario ad insulino resistenza, per cui nella prima fase c’è ipertensione, dopo la 24 settimana anche il diabete gestazionale.In alcuni casi può anche non esserci ipertensione per l’intervento di altri fattori ormonali  che annullano l’effetto ipertensivante dell’iperinsulinismo.Ecco perchè il valore da controllare è l’insulino resistenza.Si tenga presente inoltre che bisogna evitare che la glicemia della donna gravida superi il valore di 140, perchè anche con un delta di 30 di glicemia, dato dal filtro placentare,a livello fetale un valore di 110 comunque fà scattare la risposta insulinemica fetale che invece in condizioni fisiologiche non aumenta.

Un’ultima cosa da ricordare:in corso di ecografia verificare se la paziente ha un fegato steatosico,elemento questo che è  già indice di insulino resistenza a meno che non si tratti di una donna che faccia abuso di alcool,per cui ha una steatosi alcolica.

In questo modo abbastanza semplice abbiamo un’informazione in più per non lasciarci sfuggire una donna insulino resistente che è la sola,ricordiamolo e ripetiamolo ancora una volta, passibile di andare incontro a diabete gestazionale.

Dopo questa messa a punto che abbiamo fatto sul diabete gestazionale i colleghi ostetrici, convinti di tale impostazione, potranno verificare la bontà della tesi appena sostenuta e stare in contatto per via e mail per qualsiasi confronto–ferdinando carotenuto 3382692965.e mail ferdinandocarotenuto@gmail.com

L’elemento nuovo perciò è rappresentato dal fatto che l’ostetrico deve controllare, sin dal primo incontro con una donna gravida o passibile di prossima gravidanza,sia se è insulino resistente, sia se ha una funzionalità tiroidea buona ed efficiente e verificare così dai dati laboratoristici che vengono fuori se c’è nesso di causalità tra un’eventuale insulino resistenza e l’attività tiroidea.

Mi rendo conto che tutto questo finisce  per complicare il percorso attualmente seguito dagli ostetrici, perchè si devono impegnare in due patologie per ognuna delle quali si interessa uno specialista del settore, per cui il diabetologo ignora la problematica tiroidea e viceversa.

Dal momento che non possiamo camminare affiancati da queste due figure è necessario che in modo semplice l’ostetrico chiarisca da solo i due problemi sul campo secondo le indicazioni che consiglio di seguire.

Come prima cosa valutare se la donna è insulino resistente perchè è questa la premessa per cui può andare incontro a diabete gestazionale.

Per farlo l’abbiamo già indicato sopra:moltiplicare la glicemia a digiuno espressa però in mg/dl per l’insulinemia a digiuno e dividere il prodotto per 405.Il valore fisiologico nelle donne gravide,non insulino resistenti è 1-uno.Tutte quelle che si portano a 2-3-4-ecc.sono già insulino resistenti e quindi andranno incontro a diabete gestazionale quando alla 24 settimana,iniziata la fase diabetogena con la produzione degli ormoni contro-insulari,non potendo ammortizzare la glicemia a causa dell’insulino resistenza a livello muscolare, la vedranno lievitare verso valori che a livello fetale determineranno la stimolazione pancreatica, con tutte le conseguenze ben note.

Controllare la funzionalità tiroidea dando sopratutto lo sguardo e l’attenzione al TSH che se  alto indica che non c’è in circolo una quantità di ormoni tiroidei da bloccare verso i valori bassi il TSH, per cui anche di fronte a valori considerati normali, bisogna leggere l’aumento del TSH come espressività di una scarsa attività tiroidea che diventa  elemento chiave nel determinare l’insulino resistenza di quella gravida .

In questo modo la correzione della funzionalità tiroidea nel riportare verso valori bassi il TSH, assieme alla riduzione del carico di carboidrati diventano i presupposti cardine per annullare in breve tempo quell’insulino resistenza che può subdolamente causare non pochi danni.

Un’ultima cosa: mi rendo conto che così tutto diventa più complesso, ma noi dobbiamo renderci conto che chi fà un lavoro intellettuale scientifico non può  sempre semplificare, anche se il percorso indicato, anche se non abituale,può sicuramente entrare nella routine del ginecologo-ostetrico.

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ENTEROPATIA DA GLUTINE:FISIOPATOLOGIA

La celiachia è una patologia dovuta all’intolleranza al glutine che, se ingerito, causa alterazioni anatomo patologiche a livello del tenue, tali da determinare una sindrome da malassorbimento.

L’eliminazione del glutine dalla dieta  ne determina la guarigione.

Il glutine, contenuto in molti cereali, ma assente in altri,in condizioni normali viene digerito fino a dare  tanti  singoli  aminoacidi che, così assorbiti dalla mucosa intestinale, non causano alcun danno.

Questo è possibile perchè i soggetti normali, non affetti quindi da celiachia, possiedono tutti gli enzimi necessari (le proteasi ) per digerire interamente  questa proteina fino a dare tanti  singoli aminoacidi, che come tali, non sono affatto tossici.

Si tenga presente che ogni proteasi attacca un solo legame tra due aminoacidi che,essendo diversi e  anche passibili di diverse combinazioni, necessitano di diverse proteasi. Sembra ce ne siano almeno 170.

Nei soggetti celiaci la digestione del glutine procede fino alla tappa della formazione della gliadina, un polipeptide che è un frammento del glutine, con poco più di 30 aminoacidi.

A questo livello le reazioni enzimatiche si bloccano, non vanno più avanti, lasciando  la gliadina  come tale, senza essere ulteriormente  digerita fino ai  singoli aminoacidi.

Sotto questa forma, assumendo una funzione antigene, scatena una serie di reazioni immunologiche a livello intestinale, che sul piano anatomo patologico portano a  quell’atrofia della mucosa, causa di malassorbimento.

Il punto perciò da prendere in considerazione è:  individuare l’enzima in grado di attaccare l’aminoacido terminale della gliadina,che rappresenta il punto dove nei celiaci  avviene il blocco delle reazioni enzimatiche.

Tale  compito spetta ai biochimici, che, individuata la sequenza aminoacidica della gliadina, devono indicare anche l’enzima coinvolto nella reazione a livello dell’aminoacido terminale.

Non appena tale enzima sarà  individuato, i farmacologi devono provvedere a trovare il modo  di come  poterlo somministrare ai  celiaci, che, essendone  privi, digeriscono il glutine ingerito soltanto  fino al  livello di gliadina e non oltre, proprio a causa del  blocco enzimatico conseguente  all’enzima carente.

E’ questa una ipotesi da valutare e da non trascurare, che indica la strada più semplice da seguire.Nel momento in cui infatti viene individuato tale enzima, cosa che  ci si augura  non difficile, resta solo il modo di come  farlo arrivare all’intestino, in modo da consentire quel processo di degradazione della gliadina, che, se invece  resta tale, non può non essere tossica.

Fatto questo comprensibile perché nel momento in cui s’interrompe la reazione di digestione, anche se sono presenti gli altri enzimi deputati ad intervenire nelle tappe successive, il processo si blocca lasciando intatta  nell’intestino  la gliadina con tutta  la sua tossicità.

Spero che questa ipotesi, peraltro anche semplice, convinca sia i biochimici che  i farmacologi a percorrere tale strada, che se si rivela giusta, consentirà ai celiaci di poter introdurre finalmente i cibi contenenti glutine.

Consultare www.diabeteeipertensione.it dove è possibile lasciare un commento.

L’ipotesi sopra sostenuta, anche se da dimostrare,resta quella più probabile,in base alla conoscenza delle modalità con cui una proteina viene normalmente digerita.Si sa infatti che si tratta di reazioni enzimatiche a cascata per cui è possibile la reazione immediatamente a valle,solo se si è realizzata quella a monte, per cui si capisce subito che basta la mancanza di un solo enzima che blocca ovviamente tutti quelli che vengono dopo.

Pensare invece di rendere non tossica la gliadina frammentandola in più punti non convince perchè, restando bloccata sempre la reazione a livello dell’aminoacido terminale, non ci sarà mai la possibilità di consentire la digestione fino ad arrivare ai singoli aminoacidi, per cui se restano comunque dei peptidi più piccoli, lo stesso saranno tossici perchè conserveranno la loro funzione antigenica, a meno che non si realizzi una scomposizione talmente grande da rendere la moleca innocua.Si tenga presente che, se è vera l’ipotesi formulata, avendo il celiaco anche tutti gli altri enzimi a valle di quello carente che blocca la reazione a livello di gliadina,non si capisce perchè dover attaccare la molecola là dove invece ci sono gli enzimi che non  possono intervenire  semplicemente perchè la reazione  immediatamente  a monte si è bloccata.

Si prenda in considerazione il rapporto tra celiachia e sprue tropicale e si vedrà subito un elemento di unione tra le due patologie.Nella sprue tropicale la presenza di germi patogeni  determina  a livello intestinale la presentazione di  sostanze non self, così come accade per la gliadina, che  è appunto vista come tale  e cioè  non self.Nel primo caso l’insieme di reazioni immunitarie che portano anche all’atrofia dei villi, causa di malassorbimento come nella celiachia, determina una minore entrata della causa patogena, la quale però, essendo limitata nel tempo come presenza, alla fine consentirà la guarigione, proprio per il venir meno della causa patogena iniziale.In altre parole l’azione patogena è comunque limitata nel tempo, per cui, al di là del trattamento antibiotico che accelera l’eliminazione della noxa patogena,alla fine ci sarà comunque la guarigione, al contrario del glutine che, se somministrato costantemente, mantiene nel tempo il danno all’intestino, a meno che non si provveda all’eliminazione di tale sostanza dalla dieta.

Tutto questo significa che quando all’intestino arrivano sostanze non self, come può essere un batterio o una proteina come la gliadina, il risultato è lo stesso, per cui bisogna preoccuparsi di fare in modo che la gliadina venga trasformata in sostanze che vengono riconosciute dall’organismo come self.Questo può accadere  solo se la digestione procede fino a dare singoli aminoacidi e non diversamente.

Un’altra ipotesi da prendere in considerazione e da verificare è questa:pensiamo alla possibilità che l’enzima carente si trovi a livello pancreatico, per cui la sua  assenza determina la mancata digestione della gliadina per i motivi sopra accennati.In questo caso la somministrazione di enzimi pancreatici, così come facciamo con i soggetti affetti da insufficienza pancreatica, potrebbe darci un risultato positivo.

Per tale motivo è opportuno somministrare per un mese ad un celiaco piccole quantità di prodotti contenenti glutine associando 4-5 cp di Creon e andare a verificare se si verifica alla fine un aumento delle antitransglutaminasi. Se sì,vuol dire che l’ipotesi non è valida, se però questo non accade dobbiamo pensare alla possibilità che la gliadina sia stata digerita e che non abbia dato avvio alle reazioni immunitarie.

 

Non è da escludere la possibilità che gli enzimi pancreatici contengano l’enzima che permette di attaccare l’aminoacido  terminale della gliadina; se è così possiamo dire che il problema dei celiaci è risolto.Essi sono quindi da inquadrare come soggetti con una insufficienza pancreatica altamente selettiva relativa a un solo enzima, cosa che peraltro capita anche a  chi  è privo  di lattasi per la digestione del lattosio.La soluzione perciò potrebbe essere  molto  più semplice di quanto si possa immaginare.

Non è escluso però che l’enzima carente si trovi a livello del lume intestinale e quindi in tal caso la somministrazione di enzimi pancreatici non darà risultati positivi.

Sarebbe opportuno andare a verificare sul campo l’ipotesi appena illustrata, cosa peraltro che può fare chi vede numerosi casi di celiachia.

per il momento tale prova è in corso su un paziente celiaco che ha introdotto una piccola quantità una sola volta al giorno di un alimento con glutine associato a creon 10000, tra poco, a distanza di un mese andremo a verificare se c’è un aumento delle antitransglutaminasi:se sì vuol dire che la ipotesi fatta non è valida, se invece non c’è aumento è da pensare che sia stata digerito il frammento di gliadina

a breve tutto questo sarà pubblicato

la prova ha dato esito negativo,nel senso che dopo un mese di trattamento con piccole dosi di cibi contenenti glutine e con l’associazione di creon 10000 si è avuto un aumento delle antitransglutaminasi per cui l’esperimento è stato interrotto

si può quindi ipotizzare che l’enzima mancante si trovi a livello intestinale;per questo motivo la ricerca ritorna ai biochimici che devono individuare l’enzima che è necessario per l’ultimo aminoacido e il penultimo della gliadina

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Ipertensione e insulino resistenza

nell’articolo ipertensione e insulino resistenza si chiarisce il percorso diagnostico e terapeutico da seguire per i pazienti con ipertensione essenziale che, sia se diabetici tipo2, che non, potrebbero essere inquadrati come insulino resistenti e pertanto passibili di guarigione, una volta ripristinata la normo sensibilità all’insulina.

I soggetti, affetti da ipertensione essenziale,sono quelli per i quali non si riesce a trovare una causa così come invece avviene per quelli affetti da ipertensione secondaria.
Per essi infatti il medico, sia esso internista che cardiologo, non può fare altro che ricorrere alla terapia farmacologica che, diciamoci la verità, è una terapia sintomatica,nel senso che  attraverso le diverse azioni farmacologiche dei farmaci usati, riesce ad abbassare la pressione.Si contrasta  pertanto l’azione patogena con un’azione farmacologica uguale e contraria,senza  riuscire però  minimamente ad arrivare alla normalizzazione evitando  l’ausilio dei farmaci.

Dopo quanto da me detto sulle cause dell’insulino resistenza,c’è la possibilità di introdurre un nuovo percorso prima non sperimentato.

Di fronte a un soggetto iperteso, anche se non iperglicemico, bisogna sempre porsi la domanda se è insulino resistente.

Basta già vedere la sua emoglobina glicata che se è intorno a 6,valore che viene  considerato nella norma, deve essere visto con sospetto perchè quel valore sta a indicare una media  glicemica  intorno a  130 mg., che determina per forza una continua stimolazione insulinica da parte del pancreas.Bisogna spostare tale valore a meno di 5  in modo da avere una glicemia media al di sotto del valore soglia a cui scatta l’insulina e anche così non è assolutamente escluso che il paziente non sia un insulino resistente.

Se il paziente viene pertanto inquadrato come tale, si deve procedere alla determinazione delle glicemie post prandiali con relative insulinemie.Là dove ci si accorge che esiste una sproporzione tra le glicemie e le insulinemie, nel senso che si vede che per quel valore di glicemia testato si ha un valore alto di insulina, si può realisticamente pensare che il soggetto rientra tra gli ipertesi  con insulino resistenza e quindi deve essere sottoposto oltre al trattamento farmacologico dell’ipertensione anche a quello del ripristino della normo sensibilità  all’insulina che abbiamo avuto modo di illustrare negli altri articoli e a cui si rimanda (Chiarite le cause dell’insulino resistenza sul sito www.diabeteeipertensione.it)

Per essere ancora più precisi nella valutazione dell’insulino resistenza applicare il metodo HOMA: moltiplicare i valori in mg. della glicemia a digiuno  per il corrispondente valore dell’insulinemia e dividerlo per 405.Il rapporto non deve superare i 2.5 in condizioni basali di glicemia, anche se si fa notare che i soggetti normali fanno registrare un valore intorno a 1, per cui anche un valore di due può essere visto con sospetto, dal momento che comunque rappresenta il doppio di quello che si riscontra nei soggetti normali.

Solo attraverso uno studio fatto in questa direzione saremo in grado di dire quale percentuale di ipertesi rientra in quelli da insulino resistenza e quali invece riconoscono cause diverse al momento non ancora accertate.I colleghi che sono convinti di tale impostazione potranno procedere secondo le linee guida da me indicate in modo dettagliato nell’articolo di cui sopra appena menzionato.

Da parte mia ho già cominciato e sto verificando che non sono pochi quelli con insulinoresistenza, anche a fronte di valori quasi normali di glicemia e anche di emoglobina glicata  e che quindi sono da mettere nelle condizioni di poter guarire completamente.Resta inoltre tutta la schiera di pazienti diabetici tipo2,che sono quasi sempre ipertesi, che a maggior ragione vanno trattati allo stesso modo,per vedere finalmente risolto attraverso la procedura che ripristina la normo sensibilità all’insulina, sia l’ipertensione che il diabete tipo2.Come si vede va aumentando sensibilmente la schiera dei pazienti affetti da ipertensione essenziale che rientrano tra quelli secondari a insulino resistenza.Alla fine di questo studio che spero faranno in molti, avremo dei dati che potranno essere sorprendenti, per il fatto che saranno sempre meno quelli da inquadrare nell’ambito dell’ipertensione idiopatica.

D’altra parte la procedura adottata è simile a quella che già adesso viene consigliata e ai pazienti diabetici e a quelli ipertesi, con la differenza che, mancando il supporto fisiopatologico di cui sopra, difficilmente ci si spinge al punto da portare e il paziente diabetico e iperteso alla normalità, con il risultato che è sotto i nostri occhi che questi pazienti convivono con le due patologie,adattandosi a contrastare soltanto con i farmaci le noxe patogene.Alla fine il paziente iperteso e quello diabetico resteranno per sempre con queste due patologie, con la differenza che i soggetti diabetici, dopo anni,diventeranno diabetici di tipo1, proprio per l’esaurimento delle cellule beta dovuto, nel corso di anni, alla superstimolazione sia fisiologica che farmacologica.

Si tenga presente inoltre che se il soggetto iperteso è un insulino resistente e non viene inquadrato come tale e pertanto trattato solo come iperteso essenziale,si troverà nel giro di alcuni anni ad essere un diabetico  tipo2 dal momento che l’iperinsulinismo compensatorio all’insulino resistenza sotto stante finisce con l’esaurirsi e dare quindi i primi segni di iperglicemia.

Per questo motivo si capisce d’un subito l’opportunità dell’inquadramento del soggetto iperteso nell’ambito dell’insulino resistenza proprio per evitare che si perda del tempo prezioso che invece va a determinare l’esaurimento delle cellule beta.Sotto questi aspetti i cardiologi fanno un errore grave perchè, preoccupandosi della sola ipertensione, si lasciano sfuggire l’insulino resistenza e l’iperinsulinismo sottostante che contribuiscono sia alla steatosi epatica che all’obesità per le ragioni che sono state ampiamente trattate in altri capitoli sullo stesso sito e a cui si rimanda per evitare inutili ripetizioni.

Anche in questi casi il ritrovamento da parte delle case farmaceutiche di un prodotto capace di bloccare la lipoproteinlipasi del tessuto adiposo consentirebbe la rapida guarigione dei casi di ipertensione essenziale secondaria a insulino resistenza per tutti i motivi in altri capitoli già trattati e che anche quì vengono brevemente riportati.

Il blocco di fornitura degli acidi grassi derivanti dalla scissione dei trigliceridi,sotto l’azione della lipoproteinlipasi,impedirebbe alle cellule tutte dell’organismo di poter  ricavare l’Acetil Coenzima A dalla beta ossidazione degli acidi grassi, costringendole così a rifornirsi di tali sostanze dall’acido piruvico di provenienza glucidica.In questo modo si viene a creare farmacologicamente quello che accade in natura ai maratoneti durante una gara di corsa, ma per problemi in questo caso legati al quoziente respiratorio.Tutto questo associato al blocco di fornitura al fegato di glicerolo che rappresenta la via gluconeogenetica a partenza dai grassi e si ha come risultato finale quel consumo eccessivo di zuccheri che va a determinare lo svuotamento totale dei depositi epatici e muscolari con il risultato della scomparsa dell’insulino resistenza a cui fà ovviamente seguito come risposta la scomparsa dell’iperinsulinismo che come abbiamo visto è causa di ipertensione secondaria proprio per il ben noto effetto similaldosteronico dell’insulina.

L’esperienza fatta in questi ultimi mesi sta dimostrando che soggetti ipertesi con glicemia nella norma e con valori di emoglobina glicata anch’essa nella norma, anche se vicina a valori alti, si associano molto spesso a valori alti di insulinemia che danno subito l’idea dell’insulino resistenza di quel soggetto.

L’ultimo caso  venuto alla mia osservazione presentava   una insulinemia di 35 a fronte di una glicemia di 95 mg, dando così un indice di HOMA abbastanza alto,oltre 8.Fino a quel momento il paziente era stato inquadrato dal cardiologo come iperteso essenziale e trattato con i comuni farmaci antiipertensivi,tra cui una compressa di atenololo da 100 mg, che invece in questo caso va di fatto ad aggravare l’insulino resistenza per i motivi che più volte ho spiegato in altri capitoli e che è inutile tornarci sopra.

Voglio sperare che sopratutto i cardiologi si convincano della necessità di valutare se un paziente iperteso è insulino resistente.In questo modo si ridurranno sensibilmente i casi di  ipertensione essenziale e si eviterà che quelli secondari a insulino resistenza diventino i diabetici tipo 2 del domani.

L’esperienza quotidiana di ricerca di insulino resistenza nei soggetti ipertesi non diabetici mi sta facendo convincere che la maggior parte dei casi di ipertensione arteriosa sia secondaria a insulino resistenza.Capita infatti solo di rado che un paziente iperteso non sia insulino resistente,per cui va maturando  la convinzione che quelli che noi individuiamo come ipertesi essenziali non sono che degli insulino resistenti, per il momento non ancora diabetici per il fatto che non hanno ancora esaurita la produzione di insulina da parte dele betacellule.Quando questo avverrà, proprio a causa della continua sollecitazione data dall’insulino resistenza,perlatro aggravata anche dai betabloccanti là dove vengono usati, si passerà alla fase dell’iperglicemia che caratterizza l’inizio del diabete tipo2.

L’esperienza di questi mesi nella ricerca dell’insulino resistenza mi sta facendo notare che molti soggetti insulino resistenti sono ipotiroidei o eutiroidei ai limiti bassi, per cui sarebbe sempre opportuno valutare la funzionalità tiroidea, ma sopratutto vedere se il TSH è ai limiti bassi,perchè un innalzamento di tale valore ci dice che l’ipofisi stà segnalando una minore attività degli ormoni tiroidei in circolo, per cui conviene ottimizzare la funzione tiroidea col portare il TSH ai limiti bassi fisiologici consentiti.

In questo modo il miglioramento della funzionalità tiroidea determinerà la scomparsa dell’insulino resistenza che è causa di iperinsulinismo, a sua volta causa di ipertensione,ritenuta a torto essenziale, mentre è invece è da iperinsulinismo secondario a insulino resistenza.

Ad oggi sono numerosi i casi che ho risolto e che giorno dopo giorno risolvo sulla base dell’impostazione appena descritta per cui è giunto il momento che anche i cardiologi e gli internisti comincino a fare la stessa cosa.

Dopo quanto detto consiglio la lettura di due articoli sempre sullo stesso sito dal titolo “diversione bilio-pancreatica e chiarite le cause dell’insulinoresistenza”,dove vengono meglio chiariti i meccanismi che portano all’insulinoresistenza e quindi consentono di dare una lettura completamente diversa di quella che a torto noi continuiamo a definire “ipertensione essenziale”.

I pazienti sottoposti a intervento  di diversione bilio-pancreatica per un problema di grande obesità guariscono non solo dal diabete tipo2, ma anche dall’ipertensione arteriosa quasi sempre presente e questo avviene a paziente ancora obeso.una spiegazione a tutto questo la sitrova negli articoli appena citati che consentono di allargare l’orizzonte non solo sul diabete tipo2, ma anche e sopratutto sull’ipertensione arteriosa che precede di anni il diabete così come la steatosi epatica,espressione di insulinoresistenza.

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